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Studio Commerciale
Roman
21 gennaio 1988 - 21 gennaio 2024
36 anni di attività professionale
Sentenze e altri provvedimenti giudiziari
Tribunale di Sulmona, Sezione Civile, provvedimento del Giudice Designato del 22 novembre 2022
Tribunale di Parma, Sezione Fallimentare, provvedimento del Giudice Delegato del 1° gennaio 2023
Tribunale di Treviso, Sezione Fallimentare, decreto del Giudice Delegato dell'11 novembre 2022
Tribunale di Roma, Sezione Fallimentare, decreto 5 dicembre 2022, Giudice delegato M. Gemma
Tribunale di Roma, XIV Sezione Civile, decreto 18 novembre 2022, Giudice unico S. Cardinali
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta per dirimere l’annosa questione della prededucibilità dei crediti professionali maturati per prestazioni rese nella fase di accesso alla procedura di concordato preventivo poi sfociato nel successivo fallimento dell’impresa, affermando - al termine di una articolata sentenza di 45 pagine - il seguente principio di diritto <<il credito del professionista incaricato dal debitore di ausilio tecnico per l’accesso al concordato preventivo o il perfezionamento dei relativi atti è considerato prededucibile, anche nel successivo e consecutivo fallimento, se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all’art. 161 l.f., sia stata funzionale, ai sensi dell’art. 111 co. 2 l.f., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio ex ante rimesso all’apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all’incremento dei valori aziendali dell’impresa, sempre che il debitore venga ammesso alla procedura ai sensi dell’art. 163 l.f., ciò permettendo istituzionalmente ai creditori, cui la proposta è rivolta, di potersi esprimere sulla stessa; restano impregiudicate, da un lato, la possibile ammissione al passivo, con l’eventuale causa di prelazione e, per l’altro, la non ammissione, totale o parziale, del singolo credito ove si accerti l’inadempimento della obbligazione assunta o la partecipazione del professionista ad attività fraudatoria>>.
Nell’ambito della composizione negoziata della crisi d’impresa di cui al D.L. 24 agosto 2021 n. 118, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 ottobre 2021 n. 147, le misure protettive di cui all’art. 6 dello stesso D.L. producono i loro effetti soltanto dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese dell’istanza di applicazione delle misure e dell’accettazione dell’esperto. La necessità ai fini dell'apertura dell'ombrello protettivo della pubblicazione congiunta tanto dell’istanza quanto dell’accettazione è postulata sia dal dato letterale degli artt. 6 e 7 che contengono un riferimento complessivo all’una e all’altra, sia dalla ratio sottesa al sistema della composizione della crisi, che può dirsi effettivamente avviato solo quando l’esperto abbia assunto il proprio ufficio. Il Tribunale ha poi rilevato: i) <<Né, peraltro, il tessuto normativo del D.L. n. 118/2021 consente di individuare alcuno spazio per un intervento sostitutivo del giudice rispetto al potere di nomina riservato alle commissioni istituite ex art. 3, c. VI, pur rimanendo la consapevolezza che all’urgenza della decretazione l’ordinamento non ha saputo far seguire una risposta attuativa sufficientemente rapida>>; e ii) che è stato <<condivisibilmente osservato in dottrina che l’automatico prodursi degli effetti protettivi di cui all’art. 6 del D.L. n. 118/2021 non può non accentuare l’onere di allegazione e collaborazione dell’imprenditore il quale, depositando sollecitamente tutta la documentazione di cui all’art. 7, deve porre il giudice nella condizione di poter delibare sin da subito la serietà del percorso di trattative iniziato oltreché l’idoneità delle misure e dei provvedimenti richiesti a garantirne il regolare corso senza eccessivi sacrifici per i creditori: dacché, l’incompleta produzione dei documenti richiesti dovrebbe produrre l’immediato arresto in rito del procedimento di conferma o modifica>>.
E' la prima sentenza che espressamente ammette l'istituto dell'offerta minima all'interno delle vendite fallimentari affermando il seguente principio di diritto:
<<in caso di vendita coattiva immobiliare effettuata direttamente dal giudice delegato del fallimento, è valida anche l'offerta ribassata per non oltre un quarto rispetto al prezzo fissato nella relativa ordinanza, potendo allora il predetto giudice, in caso di unicità di offerta, aggiudicare il bene a tale offerente, ove sussistano i presupposti di cui all'art. 572 co. 3 c.p.c. novellato, applicabile ratione temporis, in particolare dando conto che non ricorre seria possibilità di conseguire un prezzo superiore per effetto di una nuova vendita, secondo i limiti di compatibilità dell'istituto, che costituisce un elemento normativo integrante il provvedimento>>.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione ribadiscono che la mancata adesione da parte dell’Ufficio finanziario alla proposta di transazione fiscale di cui all’art. 182-ter L.F. nell’ambito della procedura di concordato preventivo ricade nella giurisdizione del giudice ordinario e non di quello tributario.
Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato i seguenti principi di diritto:
- la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.
- La mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.E.G.M. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano co-munque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essen-do questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la mag-giorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto”.
- Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.E.G.M., così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.
- Si applica l’art. 1815, comma 2, c.c., onde non sono dovuti gli interessi moratori pattuiti, ma vige l’art. 1224, comma 1, c.c., con la conseguente debenza degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente convenuti.
- Anche in corso di rapporto sussiste l’interesse ad agire del finanziato per la declaratoria di usurarietà degli interessi pattuiti, tenuto conto del tasso-soglia del momento dell’accordo; una volta verificatosi l’inadempimento ed il presupposto per l’applicazione degli interessi di mora, la valutazione dell’usurarietà attiene all’interesse in concreto applicato dopo l’inadempimento.
- Nei contratti conclusi con un consumatore concorre la tutela prevista dagli artt. 33, comma 2, lett. f) e 36, comma 1, del codice del consumo di cui al D. Lgs. n. 206 del 2005, già artt. 1469-bis e 1469-quinquies c.c..
- L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso mora-torio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.E.G.M. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel de-creto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto.
Deve ritenersi che i <<professionisti>> e <<ogni altro prestatore d’opera>>, intellettuale o no, beneficino tutti della stessa estensione del privilegio mobiliare al credito per rivalsa IVA, prevista dall'art. 2751-bis, n. 2), del codice civile, come modificato dall'art. 1, comma 474, della Legge 27 dicembre 2017 n. 205 (fonte: sito web della Corte Costituzionale)
Ove, in sede di ammissione al passivo fallimentare, sia eccepita dal curatore la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notifica della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo, viene in considerazione un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria di cui deve conoscere il Giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il Tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardive, e non il Giudice tributario.
La decisione assunta dalla Corte d'Appello che accoglie il reclamo contro il decreto del Tribunale che respinge l'istanza di fallimento non ha carattere decisorio né definitivo e non è quindi impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., dato che l'incidenza sui diritti delle parti non deriva direttamente dal decreto di accoglimento del reclamo, qualsiasi natura abbiano assunto le questioni sollevate in quella sede, ma dalla successiva sentenza di fallimento, autonomamente impugnabile ex art. 18 legge fall., di cui il provvedimento della Corte territoriale costituisce un momento del relativo complesso procedimento; eventuali vizi in procedendo relativi al procedimento di reclamo alla Corte d'Appello potranno quindi essere fatti valere nel procedimento di impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento.
La Prima Sezione civile della Suprema Corte, con l'ordinanza interlocutoria sopra indicata, ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte per l’eventuale rimessione della causa alle Sezioni Unite ai fini dell’ulteriore approfondimento della seguente questione di massima di particolare importanza: se la disciplina antiusura sia riferibile anche agli interessi moratori, dovendosi in particolare valutare, anche alla stregua del tenore letterale dell’art. 644 c.p. e dell’art. 2 della Legge n. 108 del 1996, se il principio di simmetria consenta o meno di escludere l’assoggettamento degli interessi di mora alla predetta disciplina, in quanto non costituenti oggetto di rilevazione ai fini della determinazione del tasso effettivo globale medio; qualora si opti per la soluzione contraria, se, ai fini della verifica in ordine al carattere usurario degli interessi, sia sufficiente la comparazione con il tasso soglia determinato in base alla rilevazione del tasso effettivo globale medio di cui al comma 1 dell’art. 2 della citata Legge n. 108 del 1996, o se, viceversa, la mera rilevazione del relativo tasso medio, sia pure a fini dichiaratamente conoscitivi, imponga di verificarne l’avvenuto superamento nel caso concreto, e con quali modalità debba aver luogo tale riscontro, alla luce della segnalata irregolarità nella rilevazione.
Sulla base dei principi espressi dalle SS.UU. non può revocarsi in dubbio che l’affermazione giurisprudenziale che individua il termine di prescrizione della pretesa fiscale divenuta irrevocabile, per effetto della definizione del procedimento giurisdizionale promosso dal contribuente, in quello decennale, si riferisce alla fattispecie, che qui non ricorre, in cui l’accertamento è divenuto definitivo per impugnazione giurisdizionale, essendo il titolo sulla base del quale viene intrapresa la riscossione non più l’atto amministrativo ma la sentenza. Nella fattispecie, il termine di prescrizione maturato dopo la notifica della cartella non opposta è quinquennale, atteso che la definitività data dall’omessa impugnazione non può determinare un mutamento del regime di prescrizione del credito iscritto a ruolo, non essendovi un accertamento giurisdizionale che conduce all’applicazione dell’actio iudicati di cui all’art. 2953 c.c., che decorre dal momento del passaggio in giudicato della sentenza.
Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, ordinanza n. 17640 pubblicata il 1° luglio 2019
Secondo l’orientamento seguito dalla giurisprudenza di questa Corte, <<il giudice è tenuto ad accertare, anche di ufficio e indipendentemente dall’attività processuale della parte convenuta, il fondamento giuridico della domanda, sulla base di fatti costitutivi o impeditivi della pretesa dedotta in giudizio>>. Ciò sta a significare che, anche con riguardo al procedimento di verifica del passivo fallimentare, <<tutte le ragioni, che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d’ufficio>>….. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, <<in tema di ammissione al passivo fallimentare, nell’insinuare il credito da saldo negativo di conto corrente, la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporto tramite il deposito degli estratti conto integrali>> (Cass., 12 settembre 2018, n. 22208), dovendosi in effetti rendere conto analitico e continuo dello svolgimento dell’intero rapporto di conto corrente, per sua natura caratterizzato dal concorrere tanto di poste attive, quanto di poste passive alla progressiva formazione del saldo del conto medesimo.
Con l'ordinanza sopra indicata è stato affermato un importante e innovativo principio di diritto secondo il quale “deve ritenersi certamente meritevole di tutela il fine perseguito dall’impresa che, anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo, costituisca sul patrimonio un vincolo di destinazione ex art. 2465-ter c.c. al fine di consentire la soddisfazione proporzionale dei creditori non muniti di cause di prelazione. Detta iniziativa consente, infatti, la conoscibilità dello stato di crisi e preserva il patrimonio da eventuali atti di distrazione o da iniziative destinate ad avvantaggiare solo alcuni creditori in pregiudizio di altri” (nel caso concreto dalla trascrizione di un’ipoteca giudiziale basata su un decreto ingiuntivo emesso per forniture di merce non pagate).
In un giudizio di opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un fallimento nei confronti del conduttore di un immobile caduto nella procedura con contratto alla stessa opponibile, conformemente all'indirizzo della Suprema Corte, è stato affermato che la domanda riconvenzionale dell'attore opponente diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto contrattuale, è soggetta al rito speciale ed esclusivo dell'accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della Legge Fall. e deve pertanto essere dichiarata inammissibile nel giudizio di cognizione ordinaria; va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al Giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria. Quindi deve dichiararsi inammissibile la domanda di accertamento dell’inadempimento al contratto di locazione finalizzata alla pronuncia di risoluzione radicata successivamente al fallimento e la conseguente richiesta restitutoria di condanna avanzata da parte opponente.
L’art. 1, comma 714, della legge 28 dicembre 2015 n. 208 recante <<Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)>>, come sostituito dall’art. 1, comma 434, della legge 11 dicembre 2016 n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019) è incostituzionale. La disposizione consentiva agli enti locali (segnatamente comuni e province), che alla data di presentazione o approvazione del piano di riequilibrio non avevano ancora provveduto a effettuare il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi ai sensi dell’art. 3, comma 7, del D. Lgs. n. 118 del 2011, di modificare il piano sotto il profilo temporale e quantitativo, scorporando la quota di disavanzo risultante dalla revisione straordinaria dei residui di cui all’art. 243-bis, comma 8, lettera e), del D. Lgs. n. 267 del 2000 e di ripianare la stessa nell’arco di trenta anni.
Corte di Cassazione Civile, Sezione I Civile, ordinanza n. 22208 pubblicata il 12 settembre 2018
Nell’insinuare al passivo fallimentare il credito derivante da saldo negativo di conto corrente la banca ha l’onere di dare conto dell’intera evoluzione del rapporti tramite il deposito degli estratti conto integrali; il curatore, eseguite le verifiche di sua competenza, ha l’onere di sollevare specifiche contestazioni in relazione a determinate poste, in presenza delle quali la banca ha a sua volta l’onere di integrare la documentazione, e comunque la prova, del credito relativamente alle contestazioni sollevate: il Giudice delegato o, in sede di opposizione, il Tribunale, in mancanza di contestazioni del curatore, è tenuto a prendere atto dell’evoluzione storica del rapporto contrattuale come rappresentata negli estratti conto, pur conservando il potere di rilevare d’ufficio ogni eccezione non rimessa alle sole parti, che si fondi sui fatti in tal modo acquisiti al giudizio.
E’ illegittima l’irrogazione delle sanzioni in misura piena effettuata a seguito del ritardo di appena due giorni nel pagamento di una rata. Alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6905/2011 manca l’intenzionalità sanzionabile a termini di legge, poiché un ritardo di tale entità non può che evidenziare l’accidentalità dell’evento e non quindi l’intenzionalità di sottrarsi al pagamento delle imposte dovute. Nell’accogliere l’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha evidenziato che, tra l’altro, anche il legislatore ha aderito a tale impostazione con l’introduzione del principio del “lieve inadempimento”, in base al quale viene stabilita la non decadenza dalla rateizzazione nel caso in cui il ritardo del pagamento della prima rata non sia superiore a sette giorni (D. Lgs. n. 159 del 24 settembre 2015).
(La Corte di Cassazione, II Sezione Civile, con ordinanza n. 9555 del 18 aprile 2018 ha affermato il principio di diritto secondo il quale ai fini dell'applicazione dell'art. 126-bis del codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all'invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la cui idoneità ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal Giudice di volta in volta, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità - fonte: sito web della Corte Suprema di Cassazione).
La documentazione acquisita dall’amministrazione finanziaria in violazione della clausola di specialità apposta in seguito a rogatoria dall’autorità estera è utilizzabile laddove detta violazione non riguardi un diritto fondamentale di rango costituzionale. In base a tale principio di diritto la C.T.R. dell’Emilia Romagna ha accolto l’appello dell’Ufficio. La Commissione si è espressa in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo la quale “non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sé, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso” (Cass. sent. N. 24923 del 28 giugno 2011 e Cass. sent. N. 8605 del 28 aprile 2015). Nel caso di specie l’interesse leso, relativo all’osservanza delle convenzioni internazionali, non può dirsi compreso tra i diritti fondamentali di rango costituzionale, quali ad esempio l’inviolabilità del domicilio o l’intangibilità della libertà personale.
La notifica via PEC della cartella esattoriale in formato “.pdf” non ha nessun valore se priva di attestato di conformità da parte di un pubblico ufficiale. I Giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli affermano che, diversamente dalla notifica della cartella con estensione “.p7m” che rappresenta la busta crittografata contenente al suo interno il documento originale, il formato “.pdf” non produce l’originale del documento notificato, ma solo una copia elettronica inidonea a garantire, da un lato l’identificabilità del suo autore e, dall’altro, la sua integrità e immodificabilità. Nel caso di specie è dunque nulla la notifica della cartella, eseguita telematicamente dall’Agenzia delle Entrate, in formato “.pdf”, priva di sottoscrizione digitale e mancante di attestazione di conformità all’originale.
Le garanzie per il contribuente sottoposto a verifiche fiscali previste dall’art. 12 della Legge 27 luglio 2000 n. 212 non si estendono al terzo a carico del quale emergano dati, informazioni o elementi utili per l’emissione di un avviso di accertamento. La Suprema Corte, alla luce di quanto già affermato nella sentenza n. 16354 del 26 settembre 2012, accogliendo il ricorso dell’Ufficio, ha ribadito che le suddette garanzie sono assicurate unicamente al soggetto direttamente sottoposto ad accesso, ispezione o verifica. Nel caso di specie l’avviso di accertamento impugnato era stato emesso sulla base di una verifica fiscale compiuta presso una società terza.
La compensazione nel fallimento è ammissibile anche quando il credito vantato dall’imprenditore divenga liquido ed esigibile dopo l’apertura della procedura concorsuale, purchè l’obbligazione sia sorta prima della dichiarazione di fallimento. Alla luce di tale principio di diritto, affermato dalla Suprema Corte con le sentenze n. 27885-27886-27887/2013 e successivamente 24721/2016, la C.T.R. della Liguria ha accolto l’appello dell’Ufficio. La questione posta consisteva nell’accertare se e in quale misura crediti erariali sorti nei confronti di un imprenditore successivamente fallito possano o meno essere compensati con un credito IVA maturato in tempo anteriore alla dichiarazione del fallimento. Nel caso in esame la C.T.P. aveva erroneamente escluso la compensabilità tra i crediti esclusivamente per il fatto che il credito IVA, vantato in origine dalla fallita e poi ceduto a altra società, fosse divenuto liquido ed esigibile solo dopo l’apertura del fallimento, ritenendo irrilevante che tale credito fosse sorto precedentemente alla dichiarazione del fallimento.
Il Tribunale in una causa promossa da un azionista di Veneto Banca per ottenere il risarcimento dei danni subiti ha autorizzato la chiamata in causa di Intesa Sanpaolo perché potrebbe sussistere una sua responsabilità solidale.
In tema di notificazione del ricorso per Cassazione a mezzo posta elettronica certificata, la carenza di sottoscrizione digitale del ricorso e la mancanza, nella relata, della firma digitale del difensore notificante non sono causa d’inesistenza dell’atto. La Suprema Corte si è così espressa in merito all’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposta dal controricorrente per carenza della prescritta sottoscrizione digitale del ricorso e della relata di notifica. A supporto della propria tesi, i giudici citano il principio delle SS.UU. (sentenza n. 7665/2016), sancito in via generale dall’articolo 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può mai essere pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato).
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